martedì 30 aprile 2013

30 aprile. Martedì V settimana Tempo Pasquale


"Si può custodire la Chiesa, si può curare la Chiesa e noi dobbiamo farlo con il nostro lavoro, ma il più importante è quello che fa il Signore: è l’Unico che può guardare in faccia il maligno e vincerlo. Viene il principe del mondo', contro di me non può nulla: se vogliamo che il principe di questo mondo non prenda la Chiesa nelle sue mani, dobbiamo affidarla all’Unico che può vincere il principe di questo mondo. E qui la domanda: noi preghiamo per la Chiesa, ma per tutta la Chiesa? Per i nostri fratelli che non conosciamo, dappertutto nel mondo? E’ la Chiesa del Signore e noi nella nostra preghiera diciamo al Signore: Signore, guarda la tua Chiesa… E’ tua. La tua Chiesa sono i nostri fratelli. Questa è una preghiera che noi dobbiamo fare dal cuore, sempre di più".
Poi, Papa Francesco ha rimarcato che “è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, “per ringraziare” o quando “abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno “ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo "Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”:
"Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande! Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice 'Vi lascio la pace, vi do la mia pace', non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana". 
Papa Francesco è tornato più volte sull’importanza della preghiera per affidare “la Chiesa al Signore”, via per la “pace che solo lui può dare”:
"Affidare la Chiesa al Signore, affidare gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi… 'Custodisci Signore la tua Chiesa': è tua! Con questo atteggiamento Lui ci darà, in mezzo alle tribolazioni, quella pace che soltanto Lui può dare. Questa pace che il mondo non può dare, quella pace che non si compra, quella pace che è un vero dono della presenza di Gesù in mezzo alla sua Chiesa. Affidare la Chiesa che è in tribolazione: ci sono grandi tribolazioni, la persecuzione… ci sono. Ma ci sono anche le piccole tribolazioni: le piccole tribolazioni della malattia o dei problemi di famiglia… Affidare tutto questo al Signore: custodisci la tua Chiesa nella tribolazione, perché non perda la fede, perché non perda la speranza". 
“Che il Signore ci faccia forti per non perdere la fede, non perdere la speranza”, ha detto il Papa, rimarcando che questa deve sempre essere la richiesta del cuore al “Signore”. “Fare questa preghiera di affidamento per la Chiesa – ha concluso  ci farà bene e farà bene alla Chiesa. Darà grande pace a noi e grande pace alla Chiesa, non ci toglierà delle tribolazioni, ma ci farà forti nelle tribolazioni”. 

lunedì 29 aprile 2013

29 aprile. Lunedì V settimana Tempo Pasquale


Il Papa ha aperto l’omelia con una riflessione sulla prima Lettera di san Giovanni (1,5-2,2), nella quale l’apostolo «parla ai primi cristiani e lo fa con semplicità: “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”. Ma “se diciamo di essere in comunione con Lui”, amici del Signore, “e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”. E a Dio bisogna adorarlo in spirito e in verità».
«Cosa significa — si è chiesto il Papa — camminare nelle tenebre? Perché tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso. Essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!». E, ha proseguito, «quando uno va avanti su questa strada delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, forse questo modo di pensare lo ha fatto riflette: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza».
«Ma se confessiamo i nostri peccati — ha spiegato il Pontefice — Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta, vero?, quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona. Quando il Signore ci perdona fa giustizia. Sì, fa giustizia prima a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e  quando ci perdona  fa giustizia a se stesso. “Sono salvatore di te” e ci accoglie». Lo fa nello spirito del salmo 102: «“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”, verso quelli che vanno da Lui. La tenerezza del Signore. Ci capisce sempre, ma anche non ci lascia parlare: Lui sa tutto. “Stai tranquillo, vai in pace”, quella pace che soltanto Lui dà».
È quanto «succede nel sacramento della riconciliazione. Tante volte — ha detto il Santo Padre — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile».
Papa Francesco ha quindi ripreso il passo della lettera di san Giovanni. Sono parole, ha detto, che invitano ad aver fiducia: «Il Paràclito è al nostro fianco e ci sostiene davanti al Padre. Lui sostiene la nostra debole vita, il nostro peccato. Ci perdona. Lui è proprio il nostro difensore, perché ci sostiene. Adesso, come dobbiamo andare dal Signore, così, con la nostra verità di peccatori? Con fiducia, anche con allegria, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio! Con la verità. In vergogna? Benedetta vergogna, questa è una virtù».
Gesù aspetta ciascuno di noi, ha ribadito citando il vangelo di Matteo (11, 25-30): «“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”, anche del peccato, “e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile nel cuore”. Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza».
«Umiltà e mitezza — ha proseguito il — sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! È andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza».
Il Papa ha infine invitato ad aver fiducia nelle parole dell’apostolo Giovanni: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito verso il Padre». E ha concluso: «questo ci dà respiro. È bello, eh? E se abbiamo vergogna? Benedetta vergogna, perché quella è una virtù. Il Signore ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce. E non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio».

sabato 27 aprile 2013

27 aprile. Sabato IV settimana Tempo Pasquale

Il Papa si è soffermato sulla pagina degli Atti degli apostoli (13, 44-52)  che narra proprio il  confronto  tra due comunità religiose: quella dei discepoli e quella che il Pontefice ha definito «dei giudei chiusi, perché non tutti i giudei erano così». Nella comunità dei discepoli, ha spiegato, si attuava il comando di Gesù — “Andate e predicate” — e dunque si predicava e quasi tutta la città si radunava per ascoltare la parola del Signore. E, ha notato  Papa Francesco,  si era diffusa tra la gente un’atmosfera di felicità che «sembrava non sarebbe mai stata vinta».  Quando i giudei videro tanta felicità «furono ricolmi di gelosia e incominciarono a perseguitare» questa gente che «non era cattiva; erano persone buone, che avevano un atteggiamento religioso».
«Perché lo hanno fatto?» si è chiesto. Lo hanno fatto «semplicemente perché avevano il cuore chiuso, non erano aperti alla novità dello Spirito Santo. Credevano che tutto fosse stato detto, che tutto fosse come loro pensavano che dovesse essere e perciò si sentivano come difensori della fede. Incominciarono a parlare contro gli apostoli, a calunniare. La calunnia».  Questo è un atteggiamento che si riscontra nel cammino della storia;  è proprio dei  «gruppi chiusi patteggiare col potere; risolvere le questioni  “fra noi”.  Come hanno fatto quelli che, la mattina della risurrezione, quando i soldati sono andati a dir loro: “Abbiamo visto questo”, gli hanno imposto “State zitti! Prendete...” e con i soldi hanno coperto tutto.  Questo è proprio l’atteggiamento di questa religiosità chiusa, che non ha la libertà di aprirsi al Signore». Nella loro vita pubblica «per difendere sempre la verità, perché credono di difendere la verità» scelgono «la calunnia, il chiacchierare. Davvero sono comunità chiacchierone, che parlano contro, distruggono l’altro» e guardano solo a se stesse, come fossero al riparo di un muro. «Invece la comunità libera — ha fatto notare il Papa — con la libertà di Dio e dello Spirito Santo, andava avanti. Anche nelle persecuzioni. E la parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. È proprio della comunità del Signore andare avanti, diffondersi, perché il bene è così: si diffonde sempre! Il bene non si piega dentro. Questo è un criterio, un criterio di Chiesa. Anche per il nostro esame di coscienza: come sono le nostre comunità, le comunità religiose, le comunità parrocchiali? Sono comunità aperte allo Spirito Santo, che ci porta sempre avanti per diffondere la parola di Dio o sono comunità chiuse?».
La persecuzione — ha poi aggiunto il Pontefice — comincia per motivi religiosi, per  gelosia, ma anche per come si parla: «la comunità dei credenti, quella libera dello Spirito Santo, parla con la gioia. I discepoli erano pieni di gioia di Spirito Santo. Parlano con la bellezza, aprono strade: avanti sempre, no? Invece la comunità chiusa, sicura di se stessa, quella che cerca la sicurezza proprio nel patteggiare col potere, nei soldi, parla con parole ingiuriose: insultano, condannano».
E per far notare la mancanza d’amore nelle comunità cosiddette chiuse Papa Francesco ha avanzato il dubbio che questa gente «forse dimentica le carezze della mamma, quando erano piccoli. Queste comunità non sanno di carezze; sanno di dovere, di fare, di chiudersi in una osservanza apparente. Gesù gli aveva detto: “Voi siete come una tomba, come un sepolcro, bianco, bellissimo, ma niente di più”.  Pensiamo oggi alla Chiesa, tanto bella. Questa Chiesa che va avanti. Pensiamo ai tanti fratelli che soffrono per questa libertà dello Spirito e soffrono persecuzioni, adesso, in tante parti. Ma questi fratelli, nella sofferenza, sono pieni di gioia e di Spirito Santo. Questi fratelli, queste comunità aperte, missionarie, pregano Gesù perché sanno che è vero quello che ha detto e che abbiamo sentito adesso: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò”. La preghiera è Gesù. Le comunità chiuse pregano i poteri della terra perché li aiutino. E quella non è una buona strada. Guardiamo Gesù che ci invia a evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia, pieni di gioia. Non abbiamo paura della gioia dello Spirito. E mai, mai  immischiamoci  in queste cose che, alla lunga, ci portano a chiuderci in noi stessi. In questa chiusura non c’è la fecondità e la libertà dello Spirito».

venerdì 26 aprile 2013

26 aprile. Venerdì IV settimana Tempo Pasquale


Il Vangelo del giorno ci riporta le parole di Gesù ai discepoli: “Non sia turbato il vostro cuore”:
“Queste parole di Gesù sono proprio parole bellissime. In un momento di congedo, Gesù parla ai suoi discepoli, ma proprio dal cuore. Lui sa che i suoi discepoli sono tristi, perché se ne accorgono che la cosa non va bene. Lui dice: ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’. E comincia a parlare così, come un amico, anche con l’atteggiamento di un pastore. Io dico: la musica di queste parole di Gesù è l’atteggiamento del pastore, come il pastore fa con le sue pecorelle, no?… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, anche in me’. E comincia a parlare di che? Del cielo, della patria definitiva. ‘Abbiate fede anche in me’: io rimango fedele, è come se dicesse quello, no?… Con la figura dell’ingegnere, dell’architetto dice loro quello che andrà a fare: ‘Vado a prepararvi un posto, nella casa del Padre mio vi sono molte dimore’. E Gesù va a prepararci un posto”. 
Il Papa si chiede: “Com’è quel posto? Cosa significa ‘preparare il posto’? Affittare una stanza lassù? Preparare il posto’ è preparare la nostra possibilità di godere, la possibilità - la nostra possibilità - di vedere, di sentire, di capire la bellezza di quello che ci aspetta, di quella patria verso la quale noi camminiamo”:
“E tutta la vita cristiana è un lavoro di Gesù, dello Spirito Santo per prepararci un posto, prepararci gli occhi per poter vedere… ‘Ma, Padre, io vedo bene! Non ho bisogno degli occhiali!’: ma quella è un’altra visione…. Pensiamo a quelli che sono malati di cataratta e devono farsi operare la cataratta: loro vedono, ma dopo l’intervento cosa dicono? ‘Mai ho pensato che si potesse vedere così, senza occhiali, tanto bene!’. Gli occhi nostri, gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guardare quel volto meraviglioso di Gesù. Preparare l’udito per poter sentire le cose belle, le parole belle. E principalmente preparare il cuore: preparare il cuore per amare, amare di più”. 
Nel cammino della vita – ha sottolineato il Papa - il Signore prepara il nostro cuore “con le prove, con le consolazioni, con le tribolazioni, con le cose buone”: 
“Tutto il cammino della vita è un cammino di preparazione. Alcune volte il Signore deve farlo in fretta, come ha fatto con il buon ladrone: aveva soltanto pochi minuti per prepararlo e l’ha fatto. Ma la normalità della vita è andare così, no?: lasciarsi preparare il cuore, gli occhi, l’udito per arrivare a questa patria. Perché quella è la nostra patria. ‘Ma, Padre, io sono andato da un filosofo e mi ha detto che tutti questi pensieri sono una alienazione, che noi siamo alienati, che la vita è questa, il concreto, e di là non si sa cosa sia…’. Alcuni la pensano così… ma Gesù ci dice che non è così e ci dice: ‘Abbiate fede anche in me’. Questo che io ti dico è la verità: io non ti truffo, io non ti inganno”. 
“Prepararsi al cielo – ha detto ancora il Papa - è incominciare a salutarlo da lontano. Questa non è alienazione: questa è la verità, questo è lasciare che Gesù prepari il nostro cuore, i nostri occhi per quella bellezza tanto grande. E’ il cammino della bellezza” e “il cammino del ritorno alla patria”. Infine il Papa prega perché il Signore ci dia “questa speranza forte”, il coraggio e anche l’umiltà di lasciare che il Signore prepari la dimora, “la dimora definitiva, nel nostro cuore, nei nostri occhi e nel nostro udito. Così sia”.

giovedì 25 aprile 2013

25 aprile. San Marco


Al centro dell’omelia del Papa il brano del Vangelo di San Marco in cui si racconta l’Ascensione di Gesù. Il Signore, prima di salire al Cielo, invia gli apostoli ad annunciare il Vangelo: “fino alla fine del mondo” – dice – non soltanto a Gerusalemme o in Galilea:
“No: in tutto il mondo. L’orizzonte … l’orizzonte grande … E come si può vedere, questa è la missionarietà della Chiesa. La Chiesa va avanti con questa predicazione a tutti, a tutto il mondo. Ma non va avanti da sola: va con Gesù. ‘Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro’. Il Signore lavora con tutti coloro che predicano il Vangelo. Questa è la magnanimità che i cristiani devono avere. Un cristiano pusillanime non lo si capisce: è proprio della vocazione cristiana, questa magnanimità: sempre di più, sempre di più, sempre di più, sempre avanti”.
La prima Lettera di San Pietro definisce lo stile cristiano della predicazione, che è quello dell’umiltà:
“Lo stile della predicazione evangelica va su questo atteggiamento: l’umiltà, il servizio, la carità, l’amore fraterno. ‘Ma … Signore, noi dobbiamo conquistare il mondo!’. Quella parola, conquistare, non va. Dobbiamo predicare nel mondo. Il cristiano non deve essere come i soldati che quando vincono la battaglia fanno piazza pulita di tutto”.
Il cristiano “annuncia il Vangelo con la sua testimonianza, più che con le parole”. E con una duplice disposizione, come dice San Tommaso d’Aquino: un animo grande che non si spaventa delle cose grandi, di andare avanti verso orizzonti che non finiscono, e l’umiltà di tenere conto delle cose piccole. “Questo è divino, è come una tensione tra il grande e il piccolo” e la “missionarietà cristiana” procede “per questa strada”.
Il Vangelo di San Marco finisce con “una frase bellissima” laddove si dice che Gesù agiva con i discepoli, confermando “la Parola con i segni che l’accompagnavano”.
“Quando noi andiamo con questa magnanimità e anche con questa umiltà, quando noi non ci spaventiamo delle cose grandi, di quell’orizzonte, ma prendiamo anche le cose piccole – l’umiltà, la carità quotidiana – il Signore conferma la Parola. E andiamo avanti. Il trionfo della Chiesa è la Risurrezione di Gesù. Ma c’è la Croce, prima. Chiediamo oggi al Signore di diventare missionari nella Chiesa, apostoli nella Chiesa ma con questo spirito: una grande magnanimità e anche una grande umiltà. Così sia”.

mercoledì 24 aprile 2013

24 aprile. Mercoledì IV settimana Tempo Pasquale


Le letture del giorno raccontano le vicende della prima comunità cristiana che cresce e moltiplica i suoi discepoli. Una cosa buona – osserva il Papa – ma che può spingere a fare “patti” per avere ancora “più soci in questa impresa”: 
“Invece, la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa è un’altra: la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni … E questo ci fa pensare: ma cosa è questa Chiesa? Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana”.
La Chiesa  è “un’altra cosa”: non sono i discepoli a fare la Chiesa, loro sono degli inviati, inviati da Gesù. E Cristo è inviato dal Padre:
“E allora, si vede che la Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea … Non so se ha avuto un’idea, il Padre: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa”. 
La tentazione è quella di far crescere la Chiesa senza percorrere la strada dell’amore:
“Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore. Ma come cresce? Ma Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore”. 
La Chiesa cresce “dal basso, lentamente”:
“E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. E’ una storia d’amore ... Ma ci sono quelli dello Ior … scusatemi, eh! .. tutto è necessario, gli uffici sono necessari … eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”. 
Un capo di Stato ha chiesto quanto sia grande l’esercito del Papa. La Chiesa non cresce “con i militari”, ma con la forza dello Spirito Santo. Perché la Chiesa non è un’organizzazione: 
“No: è Madre. E’ Madre. Qui ci sono tante mamme, in questa Messa. Che sentite voi, se qualcuno dice: ‘Ma … lei è un’organizzatrice della sua casa’? ‘No: io sono la mamma!’. E la Chiesa è Madre. E noi siamo in mezzo ad una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito Santo e noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra Madre”. Il Papa, infine, eleva la sua preghiera alla Madonna perché “ci dia la grazia della gioia, della gioia spirituale di camminare in questa storia d’amore”.

martedì 23 aprile 2013

23 aprile. Martedì IV settimana Tempo Pasquale. San Giorgio


La prima lettura di oggi mi fa pensare che, proprio nel momento in cui scoppia la persecuzione, scoppia la missionarietà della Chiesa. E questi cristiani erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, e proclamavano la Parola (cfr At 11,19). Avevano questo fervore apostolico dentro; e la fede viene diffusa così! Alcuni, gente di Cipro e di Cirene – non questi, ma altri che erano diventati cristiani – giunti ad Antiochia, incominciarono a parlare anche ai Greci (cfr At 11,20). E’ un passo in più. E la Chiesa va avanti, così. Di chi è questa iniziativa di parlare ai Greci, cosa che non si capiva, perché si predicava soltanto ai Giudei?. E’ dello Spirito Santo, Colui che spingeva di più, di più, di più, sempre.
Ma a Gerusalemme, qualcuno, quando ha sentito questo, è diventato un po’ nervoso e hanno inviato una Visita apostolica, hanno inviato Barnaba (cfr At 11,22). Forse, con un po’ di senso dell’umorismo, possiamo dire che questo sia l’inizio teologico della Congregazione per la Dottrina della Fede: questa Visita apostolica di Barnaba. Lui ha osservato, e ha visto che le cose andavano bene (cfr At 11,23). E la Chiesa così è più Madre, Madre di più figli, di molti figli: diventa Madre, Madre, Madre sempre di più, Madre che ci dà la fede, Madre che ci dà l’identità. Ma l’identità cristiana non è una carta d’identità. L’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché tutti questi appartenevano alla Chiesa, alla Chiesa Madre, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile. Il grande Paolo VI diceva: è una dicotomia assurda voler vivere con Gesù senza la Chiesa, seguire Gesù fuori della Chiesa, amare Gesù senza la Chiesa (cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 16). E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza. L’appartenenza alla Chiesa: questo è bello!
La terza idea che mi viene in mente – la prima: era scoppiata la missionarietà; la seconda: la Chiesa Madre – è che quando Barnaba ha visto quella folla – dice il testo: “E una folla considerevole fu aggiunta al Signore” (At 11,24) – quando ha visto quella folla, ha avuto gioia. “Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò” (At 11,23). E’ la gioia propria dell’evangelizzatore. E’, come diceva Paolo VI, “la dolce e consolante allegria di evangelizzare” (cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). E questa gioia incomincia con una persecuzione, con una tristezza grande, e finisce con la gioia. E così la Chiesa va avanti, come dice un Santo, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni del Signore (cfr S. Agostino,De Civitate Dei, 18,51,2: PL 41, 614). Così è la vita della Chiesa. Se noi vogliamo andare sulla strada della mondanità, negoziando con il mondo – come volevano fare i Maccabei, che erano tentati in quel tempo – mai avremo la consolazione del Signore. E se noi cerchiamo soltanto la consolazione, sarà una consolazione superficiale, non quella del Signore, sarà una consolazione umana. La Chiesa va sempre tra la Croce e la Risurrezione, tra le persecuzioni e le consolazioni del Signore. E questo è il cammino: chi va per questa strada non si sbaglia.
Pensiamo oggi alla missionarietà della Chiesa: questi discepoli che sono usciti da se stessi per andare, e anche quelli che hanno avuto il coraggio di annunciare Gesù ai Greci, cosa in quel tempo scandalosa, quasi (cfr At 11,19-20). Pensiamo alla Madre Chiesa che cresce, cresce con nuovi figli, ai quali dà l’identità della fede, perché non si può credere in Gesù senza la Chiesa. Lo disse Gesù stesso nel Vangelo: Ma voi non credete, perché non fate parte delle mie pecore (cfr Gv 10,26). Se non siamo “pecore di Gesù”, la fede non viene; è una fede all’acqua di rose, una fede senza sostanza. E pensiamo alla consolazione che ha avuto Barnaba, che è proprio “la dolce e consolante allegria di evangelizzare”. E chiediamo al Signore questa parresia, questo fervore apostolico, che ci spinga ad andare avanti, come fratelli, tutti noi: avanti! Avanti, portando il nome di Gesù nel seno della Santa Madre Chiesa, come diceva Sant’Ignazio, gerarchica e cattolica. Così sia.

lunedì 22 aprile 2013

22 aprile. Lunedì IV settimana Tempo Pasquale

Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, Gesù dice che chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore. L’unica porta per entrare nel Regno di Dio, per entrare nella Chiesa – afferma il Papa - è Gesù stesso. “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro o un brigante”. E’ “uno che vuole fare profitto per se stesso, è uno che “vuole salire”: 
“Anche nelle comunità cristiane ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro … e coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria e questo è quello che diceva ai farisei: ‘Voi girate la gloria uno all’altro …’. Una religione un po’ da negozio, no? Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia. E come so che la porta vera è Gesù? Come so che questa porta è quella di Gesù? Ma, prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini. Sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto …”.
Ma “Gesù non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare”: ma sono “ingannevoli, non sono veri: sono falsi. La strada è soltanto Gesù”: 
“Ma qualcuno di voi dirà: ‘Padre, lei è fondamentalista!’. No, semplicemente questo l’ha detto Gesù: ‘Io sono la porta’, ‘Io sono il cammino’ per darci la vita. Semplicemente. E’ una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore. Ma sempre noi abbiamo quello che è stato all’origine del peccato originale, no? Abbiamo la voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta, qualsiasi essa sia”.
“A volte abbiamo la tentazione di essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore”: 
“E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel Regno di Dio. Soltanto si entra da quella porta che si chiama Gesù. Soltanto si entra da quella porta che ci porta su una strada che è una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa – dice il Signore – che salgono per entrare dalla finestra, sono ‘ladri e briganti’. E’ semplice, il Signore. Non parla difficile: Lui è semplice”. 
Il Papa invita a chiedere “la grazia di bussare sempre a quella porta”:
“A volte è chiusa: noi siamo tristi, abbiamo desolazione, abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta. Non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla mano. Sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me: ciascuno di noi deve dire questo: ‘E tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare’”.

sabato 20 aprile 2013

20 aprile. Sabato III settimana Tempo Pasquale

La prima comunità cristiana, dopo la persecuzione, vive un momento di pace, si consolida, cammina e cresce “nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito Santo”: il Papa commenta la lettura degli Atti degli Apostoli. E’ questa l’aria stessa in cui vive e respira la Chiesa, chiamata a camminare alla presenza di Dio e in modo irreprensibile:
“E’ uno stile della Chiesa. Camminare nel timore del Signore è un po’ il senso dell’adorazione, la presenza di Dio, no? La Chiesa cammina così e quando siamo in presenza di Dio non facciamo cose brutte né prendiamo decisioni brutte. Siamo davanti a Dio. Anche con la gioia e la felicità: questo è il conforto dello Spirito Santo, cioè il dono che il Signore ci ha dato - questo conforto - che ci fa andare avanti”. 
Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno molti discepoli ritengono duro il linguaggio di Gesù, mormorano, si scandalizzano e alla fine lasciano il Maestro: 
“Questi si sono allontanati, se ne sono andati, perché dicevano ‘quest’uomo è un po’ speciale, dice delle cose che sono dure e noi non possiamo… E’ un rischio troppo grande andare su questa strada. Abbiamo buon senso, eh? Andiamo un po’ indietro e non tanto vicino a Lui’. Questi, forse, avevano una certa ammirazione per Gesù, ma un po’ da lontano: non immischiarsi troppo con questo uomo, perché dice delle cose un po’ strane…”.
Questi cristiani “non si consolidano nella Chiesa, non camminano alla presenza di Dio, non hanno il conforto dello Spirito Santo, non fanno crescere la Chiesa”:
“Sono cristiani di buon senso, soltanto: prendono le distanze. Cristiani - per così dire – ‘satelliti’, che hanno una piccola Chiesa, a propria misura: per dirlo proprio con le parole di Gesù nell’Apocalisse, ‘cristiani tiepidi’. La tiepidezza che viene nella Chiesa… Camminano soltanto alla presenza del proprio buon senso, del senso comune … quella prudenza mondana: questa è una tentazione proprio di prudenza mondana”. 
Papa Francesco pensa ai tanti cristiani “che in questo momento danno testimonianza del nome di Gesù, anche fino al martirio”. Questi – afferma - non sono ‘cristiani satelliti’, perché “vanno con Gesù, sulla strada di Gesù”:
“Questi sanno perfettamente quello che Pietro dice al Signore, quando il Signore gli fa la domanda: ‘Anche voi volete andare, essere ‘cristiani satelliti’?’. Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’. Così da un gruppo grande diventa un gruppo un po’ più piccolo, ma di quelli che sanno perfettamente che non possono andare da un’altra parte, perché soltanto Lui, il Signore, ha parole di vita eterna”. 
Il Papa, infine, eleva questa preghiera: 
“Preghiamo per la Chiesa, perché continui a crescere, a consolidarsi, a camminare nel timore di Dio e con il conforto dello Spirito Santo. Che il Signore ci liberi dalla tentazione di quel ‘buon senso’, tra virgolette, dalla tentazione di mormorare contro Gesù, perché è troppo esigente, e dalla tentazione dello scandalo. E così sia”.

venerdì 19 aprile 2013

19 aprile. Venerdì III settimana Tempo Pasquale

La conversione di San Paolo e il discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao sono le letture bibliche del giorno al centro dell’omelia del Papa, tutta incentrata su Gesù che parla: parla a Saulo che lo perseguita, parla ad Ananìa, chiamato ad accogliere Saulo e parla anche ai dottori della legge, dicendo che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non sarà salvato. La voce di Gesù  “passa per la nostra mente e va al cuore. Perché Gesù cerca la nostra conversione”. Paolo e Ananìa rispondono con perplessità, ma col cuore aperto. I dottori della legge rispondono in altra maniera, discutendo tra loro e contestando duramente le parole di Gesù: 
“Paolo e Ananìa rispondono come i grandi della storia della salvezza, come Geremia, Isaia. Anche Mosé ha avuto le sue difficoltà: ‘Ma, Signore, io non so parlare, come andrò dagli egiziani a dire questo?’. E Maria: ‘Ma, Signore, io non sono sposata!’. E’ la risposta dell’umiltà, di colui che accoglie la Parola di Dio con il cuore. Invece, i dottori rispondono soltanto con la testa. Non sanno che la Parola di Dio va al cuore, non sanno di conversione”. 
Il Papa spiega chi sono quelli che rispondono solo con la testa:
“Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla”. 
Sono quelli che camminano solo “sulla strada del dovere”: è il moralismo di pretendono realizzare del Vangelo solo quello che capiscono con la testa. Non sono “sulla strada della conversione, quella conversione a cui ci invita Gesù”:
“E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”. 
“Invece, la strada dell’amore, la strada del Vangelo è semplice: è quella strada che hanno capito i Santi”: 
“I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”. 

giovedì 18 aprile 2013

18 aprile. Giovedì III settimana Tempo Pasquale

Non una presenza impalpabile, un’essenza nebulizzata che si spande intorno senza sapere bene cosa sia. Dio è “Persona” concreta, è un Padre, e dunque la fede in Lui nasce da un incontro vivo, di cui si fa esperienza tangibile. Il brano del Vangelo di Giovanni su cui riflette Papa Francesco – nel quale Gesù dice alla folla che “chi crede ha la vita eterna”– è occasione per un esame di coscienza. “Quante volte”, si chiede il Papa, tanta gente dice in fondo di credere in Dio. “Ma in quale Dio tu credi?”, è la sua domanda diretta, con la quale il Pontefice pone di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera:
“Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”. Nel brano del Vangelo, Gesù afferma pure che nessuno può venire a Lui “se non lo attira il Padre”. Queste parole dimostrano che “andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono” che Dio elargisce. Un dono, spiega, come quello che vede protagonista il funzionario della regina d’Etiopia descritto nella lettura degli Atti, al quale Cristo invia Filippo a chiarirgli l’Antico Testamento alla luce della Risurrezione. Quel funzionario non era “un uomo comune” ma un ministro reale dell’economia e per questo “possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi”, “un carrierista”. Eppure quando questo individuo ascolta Filippo parlargli di Gesù “sente che è una buona notizia”, “sente gioia”, al punto da farsi battezzare nel primo luogo dove trova dell’acqua:
“Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino. Ma se andiamo su questa strada, sempre con le cose nostre – perché peccatori siamo tutti e noi abbiamo sempre alcune cose che non vanno, ma il Signore ci perdona se gli chiediamo perdono, e avanti sempre, senza scoraggiarci – ma su quella strada ci succederà lo stesso che a questo ministro dell’economia”. Succederà ciò che gli Atti degli Apostoli riferiscono di quel funzionario dopo aver scoperto la fede: “E pieno di gioia proseguiva la sua strada”:
“E’ la gioia della fede, la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede. Chiediamo al Signore che ci faccia crescere in questa fede, questa fede che ci fa forti, ci fa gioiosi, questa fede che incomincia sempre con l’incontro con Gesù e prosegue sempre nella vita con i piccoli incontri quotidiani con Gesù”. 

mercoledì 17 aprile 2013

17 aprile. Mercoledì III settimana Tempo Pasquale

Anche oggi l’omelia del Papa ha preso spunto dal brano degli Atti degli Apostoli: la prima comunità cristiana di Gerusalemme vive in pace e nell’amore, ma subito dopo il martirio di Santo Stefano scoppia una violenta persecuzione. “Questo è un po’ lo stile della vita della Chiesa: fra la pace della carità e la persecuzione”. E’ quello che accade sempre nella storia “perché è lo stile di Gesù”. Con la persecuzione, molti fedeli fuggono nella Giudea e nella Samaria e qui annunciano il Vangelo, anche se sono soli, senza sacerdoti, perché gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme:
“Hanno lasciato la casa, hanno portato con sé forse poche cose; non avevano sicurezza, ma andarono di luogo in luogo annunciando la Parola. Portavano con sé la ricchezza che avevano: la fede. Quella ricchezza che il Signore aveva dato loro. Sono semplici fedeli, appena battezzati da un anno o poco più, forse. Ma avevano quel coraggio di andare ad annunziare. Ed erano creduti! E facevano miracoli!”.Questi primi cristiani  “avevano soltanto “la forza del battesimo” che “dava loro questo coraggio apostolico, la forza dello Spirito”:
“Io penso a noi, battezzati: se noi abbiamo questa forza e penso: ma noi, crediamo in questo? Che il battesimo basti, sia sufficiente per evangelizzare? O ‘speriamo’ che il prete dica, che il vescovo dica … E noi? Poi, la grazia del battesimo è un po’ chiusa, e noi siamo serrati nei nostri pensieri, nelle nostre cose. O a volte pensiamo: ‘No, noi siamo cristiani: ho ricevuto il battesimo, ho fatto la cresima, la prima comunione … la carta d’identità è a posto’. E adesso, dormi tranquillo: sei cristiano. Ma dov’è questa forza dello Spirito che ti porta avanti?”.
Occorre essere “fedeli allo Spirito per annunciare Gesù con la nostra vita, con la nostra testimonianza e con le nostre parole”:
“Quando facciamo questo, la Chiesa diventa una Chiesa Madre che genera figli, figli, figli perché noi, figli della Chiesa, portiamo quello. Ma quando non lo facciamo, la Chiesa diventa non madre, ma la Chiesa-babysitter, che cura il bambino per farlo addormentare. E’ una Chiesa sopita. Pensiamo al nostro battesimo, alla responsabilità del nostro battesimo”. 
Il Papa ricorda le persecuzioni in Giappone nel 17.mo secolo, quando i missionari cattolici furono cacciati e le comunità cristiane restarono per 200 anni senza preti. Al loro ritorno, i missionari trovarono “tutte le comunità a posto, tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa”. Grazie all’opera dei battezzati:
“C’è una grande responsabilità per noi, i battezzati: annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa, questa maternità feconda della Chiesa. Essere cristiano non è fare una carriera in uno studio per diventare un avvocato o un medico cristiano; no. Essere cristiano … è un dono che ci fa andare avanti con la forza dello Spirito nell’annuncio di Gesù Cristo”. 
Durante la persecuzione dei primi cristiani Maria “pregava tanto” e animava quanti erano battezzati ad andare avanti con coraggio: 
“Chiediamo al Signore la grazia di diventare battezzati coraggiosi e sicuri che lo Spirito che abbiamo in noi, ricevuto dal battesimo, ci spinge sempre ad annunciare Gesù Cristo con la nostra vita, con la nostra testimonianza e anche con le nostre parole. Così sia”.

martedì 16 aprile 2013

16 aprile. Martedì III settimana Tempo Pasquale

Oggi è il compleanno di Benedetto XVI, compie 86 anni, e Papa Francesco lo ricorda all’inizio della Messa: “Offriamo la Messa per lui, perché il Signore sia con lui, lo conforti e gli dia molta consolazione”.
Nell’omelia commenta la prima lettura del giorno: ci parla del martirio di Santo Stefano che prima di essere lapidato annuncia la Risurrezione di Cristo, ammonendo i presenti con parole forti: “Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Stefano ricorda quanti hanno perseguitato i profeti e dopo averli uccisi gli hanno costruito “una bella tomba” e solo dopo li hanno venerati. Anche Gesù rimprovera i discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!”. “Sempre, anche tra noi c’è quella resistenza allo Spirito Santo”:
“Per dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella Trasfigurazione: ‘Ah, che bello stare così, tutti insieme!’ … ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca … vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E quello non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. E’ la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Ma: andare avanti! E questo da fastidio. La comodità è più bella”. 
Oggi sembra che “siamo tutti contenti” per la presenza dello Spirito Santo, ma “non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un solo esempio: pensiamo al Concilio”: 
“Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore”. 
Succede lo stesso “anche nella nostra vita personale”: infatti, “lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica”, ma noi resistiamo. Questa l’esortazione finale: “non opporre resistenza allo Spirito Santo. E’ lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio!”: 
“Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito Santo. Così sia”.

lunedì 15 aprile 2013

15 aprile. Lunedì III settimana Tempo Pasquale


Stefano, il primo martire della Chiesa, è una vittima della calunnia. E la calunnia è peggio di un peccato: la calunnia è un’espressione diretta di Satana. La lettura degli Atti degli Apostoli presenta Stefano, uno dei diaconi nominati, dai Discepoli, che viene trascinato davanti al Sinedrio per via della sua testimonianza al Vangelo, accompagnata da segni straordinari. E davanti al Sinedrio – si legge nel testo – compaiono ad accusare Stefano dei “falsi testimoni”. Sul punto, Papa Francesco è netto: poiché – nota – “non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni”, i nemici di Stefano hanno imboccato “la strada della lotta sporca: la calunnia”:
“Noi tutti siamo peccatori: tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa. E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa. La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti. E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”. 
Dal comportamento degli accusatori, Papa Francesco sposta l’attenzione su quello dell’accusato. Stefano, osserva, non ricambia menzogna con menzogna, “non vuole andare per quella strada per salvarsi. Lui guarda il Signore e obbedisce alla legge”, rimanendo nella pace e nella verità di Cristo. Ed è quanto, ribadisce, “succede nella storia della Chiesa”, perché dal primo martire a oggi numerosissimi sono gli esempi di chi ha testimoniato il Vangelo con estremo coraggio:
“Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”. La nostra “è un’epoca con più martiri che non quella dei primi secoli”. E un’epoca di così “tante turbolenze spirituali” ha richiamato alla mente del Pontefice l’immagine di un’icona russa antica di secoli, quella della Madonna che copre con il suo manto il popolo di Dio:
“Noi preghiamo la Madonna che ci protegga, e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. E’ la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, è lei un po’ – non so se si dice così, in italiano – la protagonista, la protagonista della protezione: è la mamma. (…) Diciamole con fede: ‘Sotto la tua protezione, Madre, è la Chiesa. Cura la Chiesa’”.

sabato 13 aprile 2013

13 aprile. Sabato II settimana Tempo Pasquale

La vita non va “truccata” quando le cose vanno male, perché questo vuol dire non avere fiducia in Dio, che della vita è il Signore. Un cristiano, viceversa, sa accettare ciò che gli accade. È una profonda lezione di vita quella che Papa Francesco desume dalla lettura degli Atti degli Apostoli, che la liturgia propone in questi giorni dopo la Pasqua. All’omelia della Messa, il Pontefice continua a riflettere sulle vicende della prima comunità cristiana. Nel brano odierno, la situazione vede i nuovi fratelli di fede discutere tra loro – greci contro ebrei – a causa di alcune necessità pratiche, come l’assistenza alle vedove, giudicata trascurata. Papa Francesco si sofferma sulla scena e osserva: “La prima cosa che fanno è mormorare: chiacchierare uno contro l’altro”:
“Ma questo non porta ad alcuna soluzione, questo non dà soluzione. Gli apostoli, con l’assistenza dello Spirito Santo, hanno reagito bene: hanno convocato il gruppo dei discepoli e hanno parlato. E quello è il primo passo: quando ci sono difficoltà, bisogna guardarle bene e prenderle e parlarne. Mai nasconderle”. 
Ed è quello che gli Apostoli fanno. Non si nascondono ma valutano e decidono, senza tergiversare. Avendo compreso che il loro primo dovere “era la preghiera e il servizio della Parola”, optano per dei diaconi che li assistano in tali servizi. E qui – legando questa vicenda dei primi cristiani alla lettura del Vangelo che vede Gesù rassicurare i Discepoli sul lago in tempesta – Papa Francesco chiosa: “Quando ci sono i problemi, bisogna prenderli e il Signore ci aiuterà a risolverli”: 
“Non dobbiamo avere paura dei problemi: Gesù stesso dice ai suoi discepoli: ‘Sono io, non abbiate paura. Sono io’. Sempre. Con le difficoltà della vita, con i problemi, con le nuove cose che dobbiamo prendere: il Signore è là. Possiamo sbagliare, davvero, ma Lui è sempre vicino a noi e dice: ‘Hai sbagliato, riprendi la strada giusta (…) Non è un buon atteggiamento quello di truccare la vita, di fare il maquillage alla vita: no, no. La vita è come è, è la realtà. E’ come Dio vuole che sia o come Dio permette che sia, ma è come è, e dobbiamo prenderla come è. E lo Spirito del Signore ci darà la soluzione ai problemi”. “Non abbiate paura, sono io!”. Questa “è la parola di Gesù, sempre”: nelle difficoltà, “nei momenti dove tutto è oscuro” e “non sappiamo cosa fare”. Dunque “prendiamo le cose come vengono, con lo Spirito del Signore e l’aiuto dello Spirito Santo. E così andiamo avanti, sicuri su una strada giusta”:
“Chiediamo al Signore questa grazia: di non avere paura, di non truccare la vita, di prendere la vita come viene e cercare di risolvere i problemi come hanno fatto gli Apostoli, e cercare pure l’incontro con Gesù che sempre è di fianco a noi, anche nei momenti più oscuri della vita”.

venerdì 12 aprile 2013

12 aprile. Venerdì II settimana Tempo Pasquale

Quando Dio tocca il cuore di una persona, dona una grazia che vale una vita, non compie una “magia” della durata di un attimo. 
Nella sua omelia, Papa Francesco ritorna al clima di agitazione immediatamente successivo alla morte di Gesù, quando i comportamenti e la predicazione degli Apostoli finiscono nel mirino di farisei e dottori della legge. Il Papa riprende le parole di Gamaliele, citate negli Atti degli Apostoli, un fariseo che mette in guardia il Sinedrio dall’attentare alla vita dei Discepoli di Cristo, poiché – ricorda – in passato il clamore suscitato da profeti rivelatisi falsi si era presto dissolto assieme ai loro proseliti. Il suggerimento di Gamaliele è di attendere e vedere cosa avverrà dei seguaci del Nazareno. 
Questo, osserva Papa Francesco, “è un consiglio saggio anche per la nostra vita, perché il tempo è il messaggero di Dio: Dio ci salva nel tempo, non nel momento. Qualche volta fa i miracoli, ma nella vita comune ci salva nel tempo”, ci salva “nella storia”, nella “storia personale” di ciascuno. Quindi il Signore non si comporta “come una fata con la bacchetta magica: no”. Al contrario, dona “la grazia e dice, come diceva a tutti quelli che Lui guariva: ‘Va, cammina’. Lo dice anche a noi: ‘Cammina nella tua vita, dai testimonianza di tutto quello che il Signore fa con noi”. 
C'è una “una grande tentazione” che si annida nella vita cristiana, “quella del trionfalismo”. “E’ una tentazione che anche gli Apostoli hanno avuto”. L’ha avuta Pietro quando assicura solennemente che non rinnegherà il suo Signore. O il popolo dopo aver assistito alla moltiplicazione dei pani. “Il trionfalismo non è del Signore. Il Signore è entrato sulla Terra umilmente: ha fatto la sua vita per 30 anni, è cresciuto come un bambino normale, ha avuto la prova del lavoro, anche la prova della Croce. Poi, alla fine, è risorto”. Dunque “il Signore insegna che nella vita non è tutto magico, che il trionfalismo non è cristiano”. 

La vita del cristiano è fatta di una normalità vissuta però con Cristo, ogni giorno: “Questa è la grazia che dobbiamo chiedere: quella della perseveranza. Perseverare nel cammino del Signore, fino alla fine, tutti i giorni”. “Che il Signore ci salvi dalle fantasie trionfalistiche”. “Il trionfalismo non è cristiano, non è del Signore. Il cammino di tutti i giorni, nella presenza di Dio, quella è la strada del Signore”.

giovedì 11 aprile 2013

11 aprile. Giovedì II settimana Tempo Pasquale


Ascoltare Dio ci rende liberi e ci dona quella felicità che “le proposte del mondo” non possono garantire. 
“Obbedire a Dio è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci rende liberi”. Obbedire al Signore significa ascoltare la sua voce, come ha fatto Pietro, che, rivolgendosi ai farisei e agli scribi, ha detto: “Io faccio quello che mi dice Gesù, non quello che voi volete che io faccia”. “Nella nostra vita sentiamo anche cose che non vengono da Gesù, che non vengono da Dio”. “Le nostre debolezze, a volte, ci portano su quella strada” o in un altro percorso che prevede un duplice orientamento, una sorta di “doppia vita”, alimentata da “quello che ci dice Gesù” e da “quello che ci indica il mondo”. Ma cosa succede quando ascoltiamo Gesù? A volte quelli che fanno l’altra proposta, legata alle cose del mondo, "si infuriano" e la strada finisce nella persecuzione. Molti ascoltano quello che Gesù chiede loro, tanti sono perseguitati. Molti con la loro vita testimoniano la volontà di obbedire a Dio, di percorrere la strada che Gesù indica loro.
E’ questa la meta alla quale oggi la Chiesa ci esorta con questa Liturgia: “Andare per la strada di Gesù”. Si tratta di non sentire le proposte del mondo, “proposte di peccato” o di compromesso che ci allontanano dal Signore. “Questo non ci renderà felici”. L’aiuto per percorrere la strada indicata da Gesù e per obbedire a Dio possiamo trovarlo nello Spirito Santo. “E’ proprio lo Spirito Santo che ci dà forza per andare”, per proseguire lungo questo cammino. Nostro Padre “ci dà lo Spirito, senza misura, per ascoltare Gesù e andare per la strada di Gesù”. Ma dobbiamo essere coraggiosi in questo, chiedere “la grazia del coraggio”, il coraggio di dire: “Signore, sono peccatore, alle volte obbedisco a cose mondane ma voglio obbedire a Te, voglio andare per la Tua strada”. Chiediamo questa grazia di andare sempre per la strada di Gesù. E quando non lo facciamo chiediamo perdono: “Il Signore ci perdona, perché Lui è tanto buono”.

mercoledì 10 aprile 2013

10 aprile. Mercoledì II settimana Tempo Pasquale

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”: su questa affermazione di Gesù contenuta nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, il Papa ha svolto la sua breve omelia durante la Messa presieduta nella Cappellina della Casa Santa Marta. 

“Il Signore ci salva con il Suo amore: non ci salva con una lettera, con un decreto, ma ci ha salvato con il suo amore”. Un amore così grande che lo spinge ad inviare suo Figlio che “si è fatto uno di noi, ha camminato con noi … e questo ci salva”. Ma “cosa significa, questa salvezza? Che significa essere salvati?”. Significa riavere dal Signore “la dignità che abbiamo perduto”, la dignità di essere figli di Dio. Significa riavere la speranza. 
Questa dignità cresce “fino all’incontro definitivo con Lui. Questa è la strada della salvezza, e questo è bello: lo fa l’amore soltanto. Siamo degni, siamo donne e uomini di speranza. Questo significa essere salvati dall’amore”. Ma il problema è che a volte vogliamo salvarci da soli “e crediamo di farcela”, basando per esempio le nostre sicurezze sui soldi e pensiamo: “sono sicuro ho dei soldi, tutto … non c’è problema … Ho dignità: la dignità di una persona ricca”. Ma questo “non basta. Pensiamo a quella parabola del Vangelo, di quell’uomo che aveva il granaio tutto pieno e disse: ‘Ne farò un altro per avere di più e poi dormirò tranquillo’. E il Signore gli dice: ‘Sciocco! Questa sera morirai’. Quella salvezza non va, è una salvezza provvisoria, è anche una salvezza apparente!”. 
Altre volte “pensiamo di salvarci con la vanità, con l’orgoglio, no?, crederci potenti … Anche quello non va. Mascheriamo la nostra povertà, i nostri peccati con la vanità, l’orgoglio … Anche quello finisce”. Ma “la vera salvezza” sta nella dignità che Dio ci ridona, nella speranza che Cristo ci ha dato nella Pasqua. “Facciamo oggi un atto di fede  ‘Signore, io credo. Credo nel Tuo amore. Credo che il Tuo amore mi ha salvato. Credo che il Tuo amore mi ha dato quella dignità che non avevo. Credo che il Tuo amore mi dà la speranza”. E “soltanto l’amore di Dio” può dare la vera dignità e la vera speranza. “E’ bello credere nell’amore questa è la verità. E’ la verità della nostra vita. Facciamo questa preghiera: 'Signore, credo nel Tuo amore. E apriamo il cuore perché questo amore venga, ci riempia e ci spinga ad amare gli altri'. Così sia”.

martedì 9 aprile 2013

9 aprile. Martedì II settimana Tempo pasquale

Erano un cuor solo e un’anima sola, grazie allo Spirito che li aveva fatti rinascere a una “vita nuova”. Ciò che all’anno zero della Chiesa ha saputo essere la prima comunità cristiana è modello intramontato e intramontabile per la comunità cristiana di oggi. Papa Francesco l’ha ribadito in modo incisivo partendo dal dialogo evangelico tra Gesù e Nicodemo, il quale non afferra subito in che modo un uomo possa “nascere di nuovo”. Di nuovo, ha ripetuto il Papa, vuol dire dallo Spirito Santo, “è la vita nuova che noi abbiamo ricevuto nel Battesimo”. Vita che “si deve sviluppare”, “non viene automaticamente”. Dobbiamo “fare di tutto perché quella vita si sviluppi nella vita nuova”, “è un laborioso cammino”, che “principalmente dipende dallo Spirito” e insieme dalla capacità di ciascuno di aprirsi al suo soffio.
E questo è esattamente ciò che accadde ai primi cristiani. Loro avevano la “vita nuova”, che si esprimeva nel vivere con un cuore solo e un’anima sola. Avevano “quell’unità, quell’unanimità, quell’armonia dei sentimenti nell’amore, l’amore mutuo…”. Una dimensione oggi da riscoprire: per esempio l’aspetto della “mitezza nella comunità”, virtù “un po’ dimenticata”. La mitezza ha “tanti nemici”. Il primo sono le “chiacchiere”.  “Quando si preferisce chiacchierare, chiacchierare dell’altro, bastonare un po’ l’altro – sono cose quotidiane, che capitano a tutti, anche a me – sono tentazioni del maligno che non vuole che lo Spirito venga da noi e faccia questa pace, questa mitezza nelle comunità cristiane”. “Sempre ci sono queste lotte”: in parrocchia, in famiglia, nel quartiere, tra amici. “E questa  non è la vita nuova”, perché quando lo Spirito viene “e ci fa nascere in una vita nuova, ci fa miti, caritatevoli”.
Quindi, come un maestro di fede e di vita, il Papa ha ricordato quale sia il comportamento giusto per un cristiano. Primo, “non giudicare nessuno” perché “l’unico Giudice è il Signore”. Poi “stare zitti” e se si deve dire qualcosa dirla agli interessati, a “chi può rimediare alla situazione”, ma “non a tutto il quartiere”. “Se, con la grazia dello Spirito riusciamo a non chiacchierare mai, sarà un gran bel passo avanti” e “ci farà bene a tutti”.

lunedì 8 aprile 2013

8 aprile. Annunciazione


Per un cristiano, “progredire” vuol dire “abbassarsi” lungo la strada dell’umiltà per far risaltare l’amore di Dio. Su questo pensiero, definito la “regola d’oro”, Papa Francesco ha imperniato l’omelia della Messa di questa mattina, celebrata nella cappella della “Casa Santa Marta”. 
Una strada che sale tanto più si abbassa. È la strada dell’umiltà cristiana, che innalza verso Dio tanto quanto chi la testimonia sa “abbassarsi” per fare spazio alla sua carità. La strada che Maria e Giuseppe percorrono fino a Betlemme, per rispettare l’ordine imperiale sul censimento, è una strada di umiltà. È umile Maria, che “non capisce bene” ma “lascia la sua anima alla volontà di Dio”. È umile Giuseppe, che si “abbassa” per portare su di sé la “responsabilità tanto grande” della sposa in attesa del figlio. “Così è  tutto l’amore di Dio, per arrivare a noi, prende la strada dell’umiltà”. È questo ciò che ha preferito per esprimere il suo amore agli uomini, all’opposto degli “idoli forti”, che “si fanno sentire, che dicono: 'qui comando io'”. Invece il nostro Dio – che “non è un Dio finto”, “un Dio di legno, fatto dagli uomini” – “preferisce andare così, per la strada dell’umiltà”. Che è la stessa seguita da Gesù, una strada che si è abbassata fino alla Croce. Per un cristiano “è questa la regola d’oro”, è “progredire, avanzare e abbassarsi”. “Non si può andare su un’altra strada. Se io non mi abbasso, se tu non ti abbassi, non sei cristiano”.
Tuttavia, “essere umili non significa andare per la strada” con “gli occhi bassi”. Non è stata quella l’umiltà di Gesù, né di sua Madre o di Giuseppe. Imboccare la strada dell’umiltà fa sì “che tutta la carità di Dio venga su questa strada, che è l’unica che Lui ha scelto: non ne ha scelto un’altra”. Anche il “trionfo della Risurrezione” segue questa rotta, “il trionfo del cristiano” prende il “cammino dell’abbassarsi”. Chiediamo “la grazia dell’umiltà, ma di questa umiltà, che è la strada per la quale sicuramente passa la carità”, perché “se non c’è umiltà, l’amore resta bloccato, non può andare”.

sabato 6 aprile 2013

6 aprile. Sabato ottava di Pasqua

Testimoniare con coraggio l’integralità della fede

Nella sua breve omelia, il Papa ha commentato le letture di questo Sabato dell’Ottava di Pasqua: la prima vede Pietro e Giovanni testimoniare con coraggio la fede davanti ai capi giudei nonostante le minacce, mentre nel Vangelo Gesù risorto rimprovera l’incredulità degli apostoli che non credono a quanti affermano di averlo visto vivo. 
Il Pontefice pone questa domanda: “Come va, la nostra fede? E’ forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose?”. Quando arrivano delle difficoltà “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”. Sempre  “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”. “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente  incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”. 
“L’esempio di Pietro e Giovanni ci aiuta, ci dà forza” ma nella storia della Chiesa sono tanti i martiri fino ad oggi, “perché per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede. In alcuni Paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri”, di quelli che dicono come Pietro e Giovanni: “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. E questo “ci dà forza, a noi, che alle volte abbiamo la fede un po’ debole”. Ci dà la forza di testimoniare con la vita la “fede che abbiamo ricevuto, questa fede che è il dono che il Signore dà a tutti i popoli”. Ma questo  “non possiamo farlo da noi stessi: è una grazia. La grazia della fede. Dobbiamo chiederla, tutti i giorni: ‘Signore … custodisci la mia fede, falla crescere, che la mia fede sia forte, coraggiosa, e aiutami nei momenti in cui – come Pietro e Giovanni – devo renderla pubblica. Dammi il coraggio’. Questa sarebbe una bella preghiera per il giorno di oggi: che il Signore ci aiuti a custodire la fede, a portarla avanti, ad essere, noi, donne e uomini di fede. Così sia”.



http://www.news.va/it/news/papa-francesco-la-fede-non-si-negozia-per-questo-l